di Monica FELLETTI
C'è foschia, stamattina...
Quella nebbiolina lattiginosa che, a terra, ti costringe a strizzare gli occhi anche dietro le lenti scure e che, se decidi di volare, rischia di mandarti a monte la giornata, perché magari è meglio non farlo .
"Valutare il tempo a terra non serve a niente." sto sentendo ripetere sempre più spesso. "Bisogna considerare il tempo in quota. Ti sollevi un po' e, magari, addio nebbiolina, è tutto più che limpido."
Già... perchè no? potrebbe anche essere così.
Col naso puntato per aria come gli antichi astronomi, stiamo tutti lì a valutare se e quando le condizioni miglioreranno. Poi, dopo circa un'ora, quando il "sole ha fatto colazione con la nebbia", come mi dicevano da piccola, ecco che parte una specie di tacito segnale fatto di sguardi, di cenni del capo, e portiamo l'aereo fuori dall'hangar.
Finiti i controlli di rito, si sale a bordo. (Divento sempre più svelta nell'allacciarmi le cinture e infilare le cuffie, le sole incombenze di un passeggero!)
Il decollo non è mai "solo il decollo". E' un brivido di libertà al quale ho giurato di non abituarmi mai, perchè l'essere umano si abitua a tutto e tutto dà poi per scontato. Non c'è niente di scontato nello staccarsi da terra, nel buggerare la forza di gravità anche solo per un po' e vivere la vita delle aquile. Durante la prima mezz'ora di volo tranquillo e regolare mi rendo conto che il "comandante" aveva ragione: in quota la visibilità è molto buona. Non ottima, ma consente di viaggiare anche se a terra eravamo piuttosto scoraggiati. Guardo le case, sotto di me, piccoli presepi allestiti in un sempiterno Natale; guardo le pecore fuggire al rumore del nostro motore e sorrido a quella piccola macchia scura che si affanna tanto per inseguirci. La nostra ombra! Poi, un colpo di gomito accanto a me non richiede altre spiegazioni: davanti ai miei occhi, le montagne sorgono dalla foschia, invase di un colore azzurrognolo quasi irreale. Sembra un quadro impressionista. Il sole colora il panorama come un pittore impazzito che inverta le tonalità e le forme, staccando tutto dal suolo e lasciandolo sospeso nel nulla. Avalon? No. Solo i rilievi del Lazio.
Ci vuol poco a sognare, davanti ad un simile spettacolo. Le montagne azzurrognole che sorgono da un oceano di nebbia non le avevo davvero mai incontrate. Shan-gri-Loo non deve essere poi tanto diversa. Dicono che, in Tibet, compaia all'orizzonte solo per alcuni fortunati. Io li chiamo PILOTI. Ecco che mi vedo indicare sulla sinistra il Soratte, seduto lì, maestoso e clemente come un re medievale. Un altro po' di strada e mi si para davanti il Gran Sasso. "Buongiorno Maestà." penso tra me e me. Ci guardiamo da pari a pari, negli occhi suoi di neve, e mai in vita mia, pur essendo nata in Piemonte, ho amato così tanto le montagne. Incutono timore, viste da terra, come muraglie che soffocano e stringono. Ma in quota! Sono Saggi seduti in circolo a sorvegliare lo svolgersi delle cose. Se non hai la visuale bloccata dai loro fianchi, tutto cambia prospettiva. La loro testa imbiancata di neve mi segnala anche che siamo sottozero, ma l'aereo ci vuol bene e col riscaldamento nell'abitacolo e il sole addosso, fa addirittura caldo. E che dire dei laghi tra i monti? Sembrano spicchi frastagliati di cielo alla…rovescia, incastrati nella terra: il lago del Salto, di Turano, Piediluco, per non parlare di altre minuscole pozze azzurre senza nome. Non si sa più cosa ammirare, se il cielo la terra, le nebbie tra le valli, i fondali dei monti in controluce. Se le rondini sapessero la fortuna che hanno!
Si sentono in cuffia comunicazioni radio: siamo in tanti a volare e un passeggero non tiene mai conto che non bisogna entrare in rotte dove si muovono altri, che non bisogna salire troppo in quota, invadere i terminali di altri aeroporti, che non bisogna... non bisogna... 2 non bisogna... Pare facile, volare! Per fortuna ho chi combatte con gli strumenti al posto mio! Mantenere la quota, velocità sotto controllo, attenzione alle turbolenze, specie vicino alle montagne, non volare sulle case...
Con virate tranquille e armoniose torniamo verso il campo: Montecavo e le sue antenne, Albano e il suo lago, più in là Ciampino e il suo aeroporto: li lasciamo tutti a sinistra.
"Dov'è il campo?"
E' la domanda - tormentone che il mio pilota si diverte a farmi di continuo. Specie ora che ci siamo rituffati nella foschia che fa schermo col sole. Domanda scherzosa, ma tremenda. Perdersi, per aria, è cosa di un attimo. Io credo che, lasciata a me stessa, sarei arrivata in Algeria, benzina permettendo.
Il campo è lì, arriva quasi di colpo con gli hangar allineati, con gli altri aerei che prendono il sole e figurine minuscole che si aggirano qua e là. Pian piano si scende: temperature, carburante, flap, pedali, cloche... Penso che dirigere un'orchestra sarebbe addirittura più semplice.
Si tocca leggeri, pista libera, rullaggio, via i flap, via la pompa, via la radio, via la strobo, via il GPS, freni bloccati….da ultimo i magneti sussurrano all’elica di riposare. E lei obbedisce tranquilla.”
MONICA