di Luigi BERRI
FL 3, TIGER-MOTH e il ponte
Quella mattina, alla cloche di un FL 3 dell’Aeroclub, mi trovavo a 1.000 metri sopra la grande vallata del Tevere, in allontanamento dall’aeroporto. Ero solo: sopra di me la visibilità era buona, sotto qualche po’ di foschia a banchi, vento assente, insomma condizioni ideali per starsene in pace e godersi una mezzora di volo rilassato. Girando lo sguardo qua e là, casualmente sotto di me intravidi, quasi confusa tra i campi, una piccola sagoma a pelo di terra che passava veloce in senso contrario. Guardando meglio vidi che si trattava del TIGER MOTH del ns. club: guardando ancora meglio, notai che si trascinava dietro uno sfilacciamento di fumo grigio… Ohibò! e che succede ?, pensai (allora nessuno di noi aveva sistemi di fumogeni, come invece si usa oggi).Nel nostro Aeroclub, acquisito il brevetto di II° grado e solamente dopo avere alle spalle almeno 400 ore di volo effettivo -tutte rigorosamente certificate sul libretto di volo- il pilota che lo desiderava poteva tentare di fare il passaggio sul mitico TIGER MOTH, biplano di sogno. Ho detto “tentare”, perché non tutti quelli che lo testavano ricevevano poi dagli istruttori l’O.K. a volarci.
Tra i pochi di noi che avevano ricevuto il tanto sospirato passaggio, GIANNI (il nome è di fantasia) era quello che più si era innamorato del “gioiello” invero davvero splendido anche solo a vederlo fermo: intelato a dovere di recente, con la grossa elica bruna, con la vernice bianco/rossa, sullo sfondo del prato verde faceva un figurone. Così il buon GIANNI ogni attimo di tempo libero lo passava accanto al “gioiello” e, se i soldi in tasca non erano scarsi, caschetto-di-cuoio, occhialoni, guanti, sciarpa-immancabile-svolazzante, vento permettendo ci saliva su e via per aria!; invece quando i soldi scarseggiavano, rimaneva a terra, e se qualcun altro danaroso non glielo aveva soffiato, lo lucidava, lo strigliava, lo controllava, l’accarezzava, lo guardava da tutti gli angoli e …gli faceva la guardia.
Così trascorsero i mesi, finchè… finchè prima un sussurro, poi una voce, poi un mormorio diffuso finchè tra noi piloti prese corpo la diceria che chi aveva “le palle” doveva fare la “prova del ponte”, ossia passare sotto un ponte autostradale a una trentina di Km. dal nostro aeroporto. A vederlo dall’esterno sembrava una cosa da ridere, il ponte era gigantesco in un’unica campata, con una luce enorme, tale da permettere il passaggio non a un aeroplanetto ma ad un’intera formazione di aerei!; in realtà però vi era una grossa, anzi grossissima difficoltà, in quanto il ponte era stato costruito adiacente sul fianco di una serie di scoscese colline, le cui sommità erano notevolmente più alte del ponte stesso, per cui il passaggio sotto l’arcata poteva avvenire solo in un‘unica direzione, da monte a valle per intenderci: insomma ci si doveva presentare radendo letteralmente la cima delle colline (da lì il ponte era sì visibile, ma dall’alto non si vedeva la luce della campata!), concentrazione massima, e, indipendentemente dal vento in loco (altro fattore non trascurabile), tuffarsi di sotto trattenendo il respiro, rimanendo a pelo del pendio e non prendendo troppa velocità…sempre in picchiata passare sotto l’arcata…alè!, respirone, e dopo era tutto uno scherzo, si apriva una larghissima valle molto più in basso, con ampie vie di fuga dovunque e con enorme quota sotto il sedere. Dall’altra direzione non era possibile, nemmeno se si possedeva un aereorazzo: ci si sarebbe spiaccicati contro la collina, non vi era spazio sufficiente per richiamare o per virare.
Ho fatto questa descrizione in quanto, dopo che la diceria si era diffusa, personalmente avevo ispezionato in volo tutta la zona del ponte e il ponte stesso, ma non me l’ero mai sentita di tuffarmi giù, perché -non mi vergogno di confessarlo- la strizza era stata sempre più forte di ogni altra considerazione di eroismo, insomma mi sembrava roba da pazzi. I piloti “machi” dicevano che l’aereo più adatto e più facile per il tuffo era il pacifico FL 3 per le sue doti di maneggevolezza, e difatti con lui alcuni tentarono con successo l’avventura.
GIANNI tra noi divenne un eroe quando ci provò e ci riuscì con il TIGER MOTH ! La voce si sparse talmente veloce che, fatto il bis e poi il tris, più volte l’eroe si esibì per dimostrare a tutti che lui sì ci sapeva fare, ed era vero. Così si propagò un passaparola clandestino per “guardoni”: chi in moto chi in macchina si fermava sul ponte, o parcheggiava a valle del ponte su una stradina secondaria, o facendo finta di niente capitava “per caso” in volo in quel momento e proprio in quella zona.
Per un po’ la faccenda andò avanti, l’omertà tra noi era assoluta: secondo me il DOV e i ns. capi qualcosa sapevano, ma facevano finta di niente.
Torniamo alla mattina fatidica e alla scoperta, dal mio FL 3, del TIGER MOTH con prua verso l’aeroporto e la striscia di fumo grigio nella scia. Non rendendomi lì per lì bene conto dell’accaduto, decisi un immediato dietro front e tornai al campo, ove giunsi circa dieci minuti dopo il TIGER e ove nel frattempo era scoppiata la bolgia. Dal circuito guardai il TIGER fermo sul prato accanto al raccordo con i pompieri intorno, auto della polizia con i lampeggianti accesi, gente che correva… Atterrai, e quello che vidi e sentii in seguito superò ogni mio più fervido immaginare.
Primo, quello che vidi: il TIGER, dal parabrezza alla coda era tutto sporco di nero e trasudava olio fuligginoso, intorno alla fusoliera aveva qua e là aggrovigliato un cavetto di metallo, la naca danneggiata, l’elica era smozzicata alle estremità, il serbatoio alto centrale era lesionato, segni evidenti di colpi di frusta appena prima e appena dopo l’abitacolo (la testa del pilota indenne!!), il traliccio che reggeva le ali per fortuna aveva retto e così i piani di coda.….
Poi quello che ho saputo: quella mattina, prima del solito, GIANNI era venuto a prendersi il TIGER per un volo locale. Inizialmente pare non avesse alcuna intenzione velleitaria, poi, trovandosi nella zona fatidica, aveva deciso su due piedi di “farsi il ponte”. Mentre passava sotto, udì un gran botto, uno spruzzo caldo e viscido lo investì, poi il modo intorno a lui divenne buio e a malapena resse istintivamente in volo il TIGER, il cui motore presto incominciò a starnutire, a tossicchiare e a perdere colpi. Strappatisi gli occhialoni, riuscì a stento, con la testa fuori dal parabrezza, con schizzi d’olio da tutte le parti, con gli indicatori di pressione e temperatura impazziti, a rientrare al campo prima che il motore grippasse del tutto.
Cos’era successo?? Il poveretto non sapeva, né poteva saperlo, che durante la notte la SIP (oggi Telecom) aveva teso nella luce del ponte un cavo telefonico che finalmente avrebbe collegato con il mondo un paesetto poco distante arroccato sulla collina…Il paesetto gioì per poco, nessuno capì perché il telefono si era improvvisamente ammutolito…Per colmo della jella, nel preciso istante in cui il TIGER si tuffava, due motociclisti della Polstrada passavano sul ponte e diligentemente annotarono l’evento e le matricole allarmando tutti, ivi compreso l’aeroporto più vicino…
L’eroe GIANNI la pagò salata. Oltre i danni, ebbe sospeso il brevetto, cacciato dal Club, interdetto per un anno da qualsiasi attività di volo.- Dire che gli andò bene è dire poco. Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, penso al miracolo: non vi sono ceri sufficienti per ringraziare la Madonna di Loreto e il TIGER MOTH, che, in quelle condizioni, ha volato per oltre un quarto d’ora, riportandolo sano e salvo a casa.