di Luigi BERRI
IL CLUB DEGLI “EMERGENTI”
Cos’è?: per ora non c’è, ma potrebbe essere un nuovo Club. T
ra chi?: tra piloti.
Quanto costerebbe farne parte?: non molto, al massimo 1 €.
Cosa proporrebbe?: raduno tra piloti un po’ “particolari”.
Insomma sarebbe Un Club un po’ speciale e forse per questo degno d’attenzione, un Club dei fortunati, un Club di chi può permettersi di raccontare storie che a volte o hanno dell’incredibile, o, forse, sarebbe meglio tacere.
Ma …cominciamo dall’inizio, almeno per quanto mi riguarda.
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18 maggio 1971, mattinata umida.
Voce di lei. Disperata, sbottò: “Non ce la faccio più! Me ne vado io o te ne vai, tu e così sia! Ero pronta a tutto, a fughe, innamoramenti, altre donne, scappatelle, ma all’aereo NO!, e come lo combatto? che tu mi tradissi per un aereo, per giunta vecchio e rattoppato è il colmo…” Così sbraitò F…, e, inviperita nera, prima di andarsene pensò che era meglio cacciarmi via. Così me ne andai. Anzi, fuggii. (storia vera)
Il giorno dopo, in aeroporto, ero assorto nel pensiero se fosse stato un bene o un male il traumatico evento accadutomi. Il povero SIAI così come lo vidi quella mattina non era il massimo per consolarmi: all’aperto, sotto la pioggia di maggio appariva tristemente moscio e più scolorito del solito. Vabbè, vecchio lo era, carrello fisso, 180 hp., ma sentirsi dare del rattoppato per la sola sostituzione di un lamierino -sulla porta del vano bagaglio- era troppo pure per lui. E’ per questo che non vide l’ora di vendicarsi, evidentemente l’anatema l’aveva colpito in fronte (= sull’ogiva). Lì per lì non lo intuii, e fu un peccato, avrei evitato il peggio: poco dopo, piantata secca (ghiaccio? non si saprà mai), emergenza, scassata notevole in mezzo ai cavolfiori senza cappottare, con fine dell’abbrivio in un fossetto a muso in giù. Tutti illesi, ma fine del glorioso SIAI.
In due giorni mi ritrovai senza aereo e senza donna. Per il SIAI mi rimase un bel magone, per la lei –sparita, poi mi avvidi per sempre- pur rattristato, me ne feci una ragione pensando ai voli futuri “se rimaneva sarebbe stata peggio di un’antiaerea…”-
(Tra il 1971 e l’episodio che segue, ebbi altre emergenze, una con il buon Tiger Moth -più in la’ forse la narrerò-, ma al momento preferisco però “sorvolare”)
29 luglio 1999, una calda giornata d’estate.
Sul mio P92 Limbach (n.° seriale 020…!!!) avevo allungato il circuito di sottovento, per permettere un più comodo finale ad un amico che mi precedeva con un REBEL e che era alle prime armi su quel mezzo. Lui se l’era presa comoda: a forza d’allargare il circuito stava immettendosi in un super-lungo finale, roba da 747, non da uccelletti come i nostri. Pazienza, pensai, così allargai anch’io a dismisura, tanto dietro non c’era nessun altro. Disceso da quota maggiore ai rigorosi 500 ft. sul QFE (la famosa “Quota-Filo-Erba”, come da giochetto mnemonico, da distinguersi bene dal QNH “Quota-Nell’-Hacqua”, ecc) e trovandomi a circa 2 Km dalla soglia pista, mi fu necessario ridare gas per mantenere il livello prima del planè finale. Qui la sorpresa: nessuna risposta dalla manetta, motore ed elica al minimo, nulla da fare, anche ritentando. Di colpo la realtà: 1) non arriverai più in pista, sei troppo distante 2) avvicinati al massimo al campo -più facili i soccorsi- 3) vedi dove tentare di atterrare. Nel frattempo l’aereo, senza spinta motore, era pericolosamente sceso. Cercai di mantenere, anzi incrementai la velocità infilandomi in picchiata in un valloncino boscoso per poterne poi superare la cresta (cosa che avvenne con successo, tanto dopo non vi erano più alberi ma solo colline coltivate). Ora era giocoforza poggiare il mezzo da qualche parte. Al limite dello stallo mi trovai dinnanzi una collinetta in salita, arata di fresco da quei maledetti vomeri moderni che tracciano solchi simili a canyon. Pensai “frittata completa”, un flash su una frase del mio vecchio istruttore “se hai emergenza, mai sulle case, mai sulle vigne, mai sui campi arati”. Ma la collina arata ora non la potevo evitare. Impensabile virare a quella ridotta velocità, dovevo proprio sbatterci il muso. In un centesimo di secondo 15 di flap, via i contatti, apro le portiere, chiudo i rubinetti, afferro il telefonino e lo caccio negli slip -in tasca poteva sfuggirmi-, tiro tutto a me…
sento un botto tremendo (addio carrello, penso), poi un altro, …strano l’aereo è dritto, non si è cappottato, alla fine di colpo si blocca dopo un ultimo scossone. Salto fuori e qui l’incredibile! L’aereo è intatto, elica e carrello sani, appoggiato su zolle non so come, ma IN-TAT-TO. Deglutisco, mi guardo intorno e non credo ai miei occhi: sono fermo proprio sulla cima della collina, pochi passi avanti e la collina scende ripida in basso ancora tra solchi arati, ma come è successo il miracolo? Guardo dietro e mi accorgo che nel lato in salita della collina dove ho avuto il primo contatto con il terreno vi sono due zolle di terra arata smozzicate ugualmente dalle mie ruote, zolle esattamente della larghezza del mio carrello (!!!), che evidentemente per prima cosa hanno ammortizzato l’impatto con le due ruote in contemporanea; poi il carrello è ripiombato in due avvallamenti anch’essi della stessa larghezza (!!!), per uscirne di rimbalzo fuori e poggiare l’aereo sulla cima della collina….. COME SI CHIAMA IL SANTO PROTETTORE? mi dissero trafelati i primi accorsi sul posto, sbalorditi dal fatto di vedere me sano e un aereo intatto poggiato sulla cima di una collina arata, roba da fotografia che poi ti dicono quale trucco hai inventato per farla apparire tale. Altri usarono parole meno cortesi, che ricordavano fondi-schiena di un esercito di persone…
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Ritorniamo al prologo. A suo tempo avevo letto su qualche rivista americana che esisteva al mondo un club esclusivo denominato “THANK YOU, MARTIN BAKER” e di questo club facevano esclusivamente parte solo i piloti che, a seguito di un qualche incidente aereo, avevano avuto salva la vita grazie al sedile eiettabile MARTIN BAKER. D’un tratto, dopo l’evento capitatomi, mi venne in testa che anche noi, pilotini-ini-ini, potevamo fondare un club degli scampati ad emergenze varie culminate con il riporto a casa della pellaccia. Dapprima pensai che saremmo stati in pochi, poi a ben vedere mi resi conto che dovevamo essere in tanti, forse tantissimi, poiché se ci pensi bene chi vola nel nostro mondo da anni (ULM ed anche AG) si può dire fortunato se non ha avuto emergenze. Vuoi per la “fragilità” -in senso lato- dei nostri mezzi, vuoi per l’approssimazione di qualcuno, vuoi per la dabbenaggine di qualcun altro, l’emergenza è sempre lì che si frega ghignante le mani, pronta a ghermire la preda. In tanti anni che volo, io penso che la mia parte ormai l’ho fatta e ho già “dato” abbastanza. Nel costituendo club c’è però qualcuno che sicuramente potrebbe aver dato molto ma molto più di me e che potrebbe a buon titolo assurgere alla prestigiosa nomina di Presidente della nuova Associazione. Io non ambisco a cariche, mi basta lanciare l’idea. Così lo statuto dovrebbe prevedere le seguenti regole di massima: a) dovrebbe essere senza fini di lucro (1 € d’iscrizione una tantum, e almeno 1 emergenza comprovata); b) ci si dovrebbe radunare una volta l’anno -diciamo nel CentroItalia per la comodità di tutti- al fine mettere le gambe sotto ad un tavolo ricolmo di ogni ben di Dio e soprattutto di ettolitri di buon vino (agli intervenuti con l’aereo sarebbe fatto obbligo di ripartire il giorno dopo… onde evitare la sospetta presenza di fumi alcolici nel cockpit); c) si dovrebbero bandire i discorsi seri (solo cazzate, diceva quello); d) e chi più ne ha più ne metta. Ah, dimenticavo il nome. Propongo “CLUB DEGLI EMERGENTI”, che ve ne pare? Lettori, che ne dite?