di Luigi BERRI
Con il “mitico” FL3. Fine estate di qualche tempo addietro….
L’aeroporto, in mezzo ai monti, scintillava riflettendo la limpidezza del cielo. Nel pomeriggio, in tempo utile per il rientro alla base, ridecollai sereno.
Il motore girava appieno, e contavo entro un’ora di toccare con le ruote la pista di casa. Ma avevo fatto i conti senza l’oste, anzi senza notizie meteo aggiornate che, quasi quarant’anni fa, non avevano l’immediatezza d’oggi. All’andata, qualche ora prima, l’Ufficio meteo non aveva segnalato nulla di particolare, se non alta pressione, assenza di nebbia e tempo buono su tutta la tratta montana, con moderato vento.
Fischiettando, superate le cime intorno all’aeroporto, livellai e fui un poco colpito nel notare quel che appariva una discreta turbolenza, ma l’aria era chiara. Comunque, prua giusta e andare. Dopo un quarto d’ora però qualcosa mi sorprese. Non riuscivo infatti più a individuare i punti di riferimento del sorvolo che avevo segnato sulla carta. Tra l’altro il sole, ormai prossimo al tramonto avanti a me, mi feriva la vista e mi impediva di vedere innanzi. Che sta succedendo? -pensai-, senza rendermi conto che a quella quota, in quel momento, avevo un fiume di vento quasi contrario di circa 100 km/h! (come seppi in seguito). Allora, ahimè, non esistevano GPS, telefonini o altre diavolerie evolute attuali. Nemmeno la radiola a pile sembrava prendere, nessuno rispondeva alle mie chiamate in mezzo ai monti e non sapevo che pesci pigliare. Dalle carte nautiche che avevo sulle gambe non comprendevo il punto in cui mi trovavo. Provai un 180°, e mi stupii della fulmineità con cui il paesaggio scorreva sotto l’ala: ovvio che non rividi più l’aeroporto da cui prima ero decollato, così per non affrontare il nulla che mi si parava innanzi, altro 180° puntando verso casa. Avevo ben compreso che si trattava di vento contrario, ma mai e poi mai immaginavo di affrontare un vero e proprio jet-stream. Confidando di farcela comunque, cercai di aumentare la velocità del mio missile (volo livellato=quasi 100 Km/h…) dando più motore e picchiandolo leggermente, difatti lessi sull’anemometro ben 115/120, ma quel che mi preoccupò fu che non riconoscevo il paesaggio sotto di me, monti e ancora monti impervi, valli, qualche paesetto già in ombra, mai lo scenario mi era sembrato così ostile. All’improvviso mi resi conto che il sole stava tramontando, in basso qualche luce era già accesa, e l’autonomia era drasticamente scesa, forse appena mezzora…Una brivido nella schiena, poi cominciai a ragionare:
Detto fatto: iniziai a scendere, entrai in una serie di valli e, oh buon Dio! lì sotto era già buio o quasi. Gocce di sudore e vera “strizza”. D’improvviso avanti a me nella penombra l’asfalto di una strada larga e senza traffico. E’ fatta! C’era turbolenza ma chissenefregava. Riduzioni, giù ancora, quasi buio, richiamai per l’atterraggio e davanti alla capote, posto di traverso proprio sulla strada, un bel compressore. Perdiana, tutto-gas! gli feci il pelo sopra e ora mi toccava tentare un nuovo circuito. Mi sentii spacciato.
Compresi che ritrovare il luogo sarebbe stato vincere un terno al lotto. Come fare a compiere un corretto circuito di sottovento senza riferimenti, nell’oscurità incombente, col vento da tutte le parti e senza conoscere eventuali ostacoli? Ormai col fiato corto -o quasi- perso per perso ci riprovai, e contando ad alta voce i secondi della virata e del sottovento, Santa-Pupa-Pilota mi dette una mano. Non so come rividi la striscia d’asfalto avanti a me, mi ricordai del compressore, con gli occhi sbarrati lo superai, via il gas, all’improvviso i sobbalzi delle ruote, l’aereo era a terra! Aprii la cappotta e balzai giù. Nessun sospiro di sollievo, anzi aiuto! l’aereo che non aveva blocco ai freni, non era fermo, si muoveva, il vento se lo stava portando via… Mi aggrappai a un’ala, l’aereo girò lentamente su sé stesso, si addossò con una ruota in una cunetta con il timone appoggiato a un minuscolo terrapieno.
Sembrava tenere. Buio pesto, vento a raffiche, non una luce, non un rumore, nessuno, il deserto.
Cominciai a strillare a intervalli regolari, come fanno nella nebbia i naufraghi: Oooh! Oooh! Ooh!
pausa di due minuti, poi giù nuovamente con l’ululato.
Dopo un po’, una voce lontana, proveniente dal basso (!): “aooooh, aoh te sento“
e io: Vieni, corri, è un incidente,
e lui “statte zitto, ghe giai dà strillà?”
Io: corri, muoviti,
e lui “aoh! ma ghi sei? ‘ndo stai? lassù ‘n coppa?”
E io: che ne so!,
lui “Carma, mo arivo cu la mula” (lì per lì pensai a un fuoristrada) e continuò “Purcaccia, ma ghe ci fai lassù co’ stu vento?”
Io: come lassù, che vuoi dire?
Lui: “Ma stai sur ponte, sotto c’è lu torrente“
Santi numi, in realtà stavo al termine di un viadotto di una grande strada in costruzione, 60 metri di salto in basso, bel posto per un’emergenza!
lui, arrivando trafelato “Freghete, ma stu cosu sembra n’aerio, coma ciufolo ge l’hai purtato?”
Io: è un’emergenza, chiama i carabinieri!
lui “Ghiappa ste funi, strigni forte sinnò s’aribarta”, sciolse il basto con la legna dalla mula (animale, non fuoristrada) porgendomi le funi “Mò te lasso la legna, poi ciamo i carabba”. Andandosene “Se vedemio tra’n po’, nun te n’annà a mignotte, sinnò nun torno”.
Il suo nome, un programma: Gedeone CORCIULO detto “Gegio”, la mula, altro programma: “Peppa”.
Dopo un paio d’ore arrivarono Gegio e i Carabinieri -a piedi (!), non c’erano strade d’accesso-. Rifiutai di lasciare l’aereo. Passammo la notte lì, bivaccando vicino a un gran falò, con fiaschi di vino e un pezzo di salame che il buon Gegio aveva rimediato da qualche parte, fumando (loro) a più non posso. Per la cronaca: Gegio, il salame, il vino, il fuoco di legna, i Carabinieri, le Nazionali, il sigaro toscano … allora non vi erano proibizioni, in ogni caso eravamo all’aperto.
L’aereo, manco un graffio. Così legato sembrava addormentato beato nel freddo della notte.
(Nota dell’autore, se permettete: CHE CULO!)