di Luigi BERRI
IL “GRANDE FUORI CAMPO”
Non so bene come oggi funzionino le cose, ma tempo addietro per ottenere il sospirato brevetto di II° grado (=possibilità di trasportare passeggeri) bisognava prima degli esami effettuare da soli un volo di trasferimento verso un altro aeroporto con rotta superiore ai 200 km, volo che doveva essere convalidato all’aeroporto di destinazione con timbri e controtimbri sul libretto e sui documenti dell’a/m, così da rendere inoppugnabile fede all’avvenuto trasferimento. Senza quella tratta, niente esami successivi e di conseguenza niente II° grado. Tale volo era tra noi conosciuto col nome di “grande fuori campo”. Ovvio che l’aeroporto ove atterrare era scelto dal futuro esaminando pilota, l’importante era che fosse in Italia. Ricordo che c’era chi studiava meticolosamente per trovare un aeroporto a 201 o 202 Km, onde risparmiare tempo e denaro (il volo lo si pagava). Da buon stupidone, trovandomi a Nord dell’Appennino, non badando al capello e ai residui soldini, la sparai grossa e decisi: Ciampino!
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Per un volo siffatto il mezzo che allora meglio si adattava era l’L5, molto più dei vari FL3, FL55 o MB 308. Così una mattina estiva, pantaloni corti e sandali “da frate” -che oggi non si usano quasi più- decollai inebriato dal trambusto dei 180 cv del Lycoming e dalle decine di robusti rinfrescanti spifferi sgorganti da ogni dove.
Volo senza storia e atterraggio sulla pista enorme di LIRA (=Ciampino), così larga che pensavo di avere toccato quando stavo ancora a 5 metri. La torre comunicò in fonìa “atterrato alle 11,05 -06 -07” modo gentile per farmi capire che avevo fatto tre bei rimbalzi (come se non me ne fossi accorto da solo). Seguo il FOLLOW ME e parcheggio. Scendo dall’aereo assetato, lasciandovi dentro i documenti. L’idea di una Coca (Cola) gelata mi sovrastava. Passo il posto guardia (non era come oggi, ad uscire nessuno ti si filava) vado al bar e mi disseto. Poi riprendo il percorso per tornare all’L5 e prendere i documenti. Prima mi squadra, poi mi blocca un finanziere con gli occhi fissi sui sandali “fermo, ragazzo dove vai?” “al mio aereo” “ma quale aereo?” “L5 sulla pista” “non farmi ridere, documenti!” “sono sull’aereo” “ho capìto, vuoi fare il furbo, vieni con me…”
E lì è iniziata la tragicommedia: perché non ero maggiorenne (allora maggior età a 21 anni), e perché il brevetto l’avevo preso all’insaputa dei miei: difatti da buon pestifero avevo osato l’inosabile; in assenza di mio padre una sera avevo chiesto a mia madre di firmarmi alcune cose per la scuola -tra cui un’ottima pagella- e lei non si era accorta che tra le varie carte ve n’era una che acconsentiva che volassi per l’Aeroclub…Non sto a dire che successe quando gli agenti insistettero per telefonare a casa mia, ignorando le suppliche mie di evitarlo, tanto bastava andare a prendere i documenti sull’aereo. Ci vollero veder chiaro. I miei dapprima caddero dalle nuvole, poi negarono decisi, poi si arresero all’evidenza (fui dai militi “obbligato” a parlar loro, e dalla mia erre moscia capirono che ero proprio io), per finire scoppiò il casìno.
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L’aereo rimase a Ciampino. Non mi vollero far rientrare in volo, visto il mancato consenso dei miei e la mia minore età. Tornai in treno. L5 il giorno dopo fu prelevato da un pilota del Club debitamente autorizzato e …maggiorenne, ma almeno il “grande fuori campo” mi fu riconosciuto. Così potei arrivare agli esami per il II° grado, che superai alla grande. Con i miei austeri genitori, passato il can-can di tragedie iniziali e dopo un annetto di punizioni assortite, ripresi a intessere rapporti quasi-normali. Rapporti normali purtroppo non ne ebbi più. Fui marchiato a vita come “il pazzo di casa”, da tenere a distanza.